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Cos’è l’Olocausto

Questo è l’estratto dell’articolo.

Cos’è l’Olocausto?

È un’idea, un desiderio, una distopia, è l’intenzione di annullare e cancellare l’intera esistenza di un popolo, di ogni singolo membro, smembrare quella rete di connessioni, culturali ed affettive, che costituiscono la base di qualsiasi interazione umana. Non è solo cancellare, è proprio annullare, eliminare dalla storia ogni singola persona di quel gruppo, neutralizzando la sua esistenza.

Vi sembrerà ancora più terribile in questi termini, ma vi assicuro che questa non è che una piccolezza, un grammo di polvere di quell’oceano gigantesco che è il male. Il vero orrore è che tutto questo si trova ancora in casa vostra, per le strade che distrattamente percorrete ogni giorno, nelle scuole dove crescono i vostri figli, negli uffici dove investite gran parte delle vostre vite, nei bar, nei cinema, nei negozi, perfino nelle chiese, l’Olocausto è ovunque, come un’ombra che perseguita il suo possessore.

Ogni volta che un essere umano viene schernito, umiliato, stuprato, usato come mezzo di scambio, ogni volta che una donna viene massacrata di botte o un uomo avvilito, ogni fottuta volta in cui non si ponderano le parole, quando le si usa per far male, quando si abusa di un figlio o una figlia o lo si abbandona, quando si denigra un compagno, un collega, un estraneo, quando si accoltella con le lame o con gli insulti, quando si sottolineano le differenze invece di sfumarle, quando si odia, quando l’empatia viene fucilata dall’irrazionale logica dei soprusi, lì, in quel momento, l’Olocausto respira e ride di noi.

Perché l’Olocausto non è nient’altro che questo, la spersonalizzazione dell’essere umano, trasformarlo da anima in fango, da spirito ad oggetto per uso e consumo.

Ha tante forme, e in questa giornata una su tutte torna alla memoria, ma in realtà ha un solo fine, quello di svalutare l’esistenza altrui fino a renderla nulla nei secoli dei secoli.

Con un nodo in gola vi dico che questa non deve essere la giornata della memoria, questa deve essere la giornata della consapevolezza, come tutti i giorni che verranno e che sono già passati, i quali non sono stati sfruttati a sufficienza. La giornata della consapevolezza, della presa di coscienza che vi sono abissi e montagne contro cui l’umanità si può imbattere, ma per poterli superare questi ostacoli, non vi può e non vi deve essere altro modo di farlo uno affianco all’altro.

Oggi non vi chiedo di ricordare, ma di guardarvi intorno, dentro e fuori, di osservare con cuore freddo la realtà, di guardare ogni torto ed ingiustizia, senza lasciarvi sfiorare da queste, provate a farlo, forza, e se non vi riuscite, siatene felici, perché proprio quel fuoco nemico di ogni indifferenza è una particella di quella cosa più preziosa di tutti i diamanti del mondo, chiamata umanità. Solo insieme può diventare un mare in grado di sopprimere tutto il male del mondo.

Oggi quindi guardatevi intorno, dentro e fuori, e intervenite ovunque vi sia sopraffazione, ovunque vi sia l’ombra della paura, intervenite, verrà un tempo per ricordare, oggi però c’è ancora da agire, perché lo spettro della miseria umana si annida ancora ovunque, e va esorcizzato, a colpi di empatia.

Diventiamo umani.

PS: Articolo pubblicato volutamente il giorno dopo della memoria, per rafforzare il concetto.

-Phantom

Ecco perché non ha senso il conflitto religioso/laico sul suicidio assistito 

Ma tutti voi che vorreste disporre della vita altrui perché “solo Dio è padrone della vita e solo lui decide quando darla e quando toglierla”, vorrei sapere, vi reputate così grandi da sapere quali sono i suoi piani?Avete le stesse capacità e lo stesso intelletto di un Dio?

Ipocriti, e per giunta blasfemi.

Lasciate fare all’uomo ciò che compete all’uomo, a Dio quel che compete a Dio.

Ogni vita è unica, va protetta, talmente preziosa e rara che a volte l’unico modo di poterla proteggere è distruggerla per darle nuova forma.

Libero arbitrio, sacro come il pane, e bisogna porre l’altra guancia anche quando non vorremmo farlo, aiutare anche quando non siamo d’accordo: siete farisei, curate la facciata e le forme, vi attenete a un costume vuoto, perdendo di vista il senso, non sapete andare oltre, applicando quelle sacre parole sempre, non solo quando vi capitano in senso letterale.

Decidere della vita altrui è il classico atteggiamento di chi non ha il controllo della propria.

Frustrazione, nient’altro.

Cristo poteva scappare, ma non l’ha fatto, gli colava il sangue dalla fronte, ma è rimasto lì, si è fatto crocifiggere, perché quella era la strada che aveva scelto.

Cosa c’è di tanto diverso in un uomo che decide di porre la parola fine al viaggio su questa strana terra?

Sembra che essere a immagine e somiglianza di Dio vi riesca bene solo quando sentite il bisogno di essere superiori e grandi, in una sola parola “superbi“, mai quando c’è da farsi umili e onesti con la propria coscienza, ed è per questo che siete piccoli, talmente piccoli, da girarvi dall’altra parte quando vi si chiede di essere umani, non dei.

È vero, solo Dio è padrone della vita, e ci vuole più coraggio a dargliela indietro che a stringerla forte, perché tenere le cose degli altri è molto più comodo, l’egoismo è sempre la scelta più facile, ma pareggiare i conti è da Eroi.

Si può essere d’accordo o no, ma rimane una scelta che non spetta a noi compiere, perché il dolore e il proprio vissuto è solo di chi è ormai in un corpo che non sente più il suo.

Non avete empatia per capire l’altro, figuriamoci per potervi mettere al suo posto e scegliere per lui.

Mi pare che in tutto ciò oltre ad una buona dose di ipocrisia ed arroganza, vi sia una totale assenza di umanità, e perciò di vita, la stessa vita che difendete a spada tratta, ma che non siete minimamente in grado né di capire, né tanto meno di ascoltare.

Diventiamo umani,

grazie.

Il Viaggio Nel Tempo

Mi calo negli abissi della storia alla ricerca di un senso, viaggiando nel tempo contro le leggi della fisica, ma non dell’anima.

Mi ritrovo a vagabondare in viaggio verso la terra di Israele, nella casa dei padri, genuflesso sul Sinai a chiedere misericordia per il nostro voler essere dei.

Vedo l’ultimo anelito di vita abbandonare Cristo, il sangue della croce, la terra che trema, ma mai quanto il cuore.

Mi contorco assieme a quel messia incompreso, asciugo il sangue del suo sudore circondato da ulivi, e non trovo parole che non siano empie di significato di fronte a tanto dolore, solo un pianto di frustrazione corrode ogni particella d’anima.

Osservo il buio dell’ignoranza, ma la luce dei roghi mi illumina la pelle e la sento su di me: l’arte oscura del male si è impadronita di chi vuole estirpare la magia.

Vedo la valle dei re, vedo schiavi trascinare pietre, altri portare una corona, e non so chi di loro è più tormentato dai demoni del proprio destino.

Sono in un tempio, ma questo Oracolo di Delfi non è abbastanza forte per predire la disfatta di ogni impero mortale.

Vedo le industrie, il fumo nero delle rotaie, le lacrime della fatica in fabbriche progettate come queste vite imprigionate e preimpostate in quattro mura.

Ora acquisto padronanza, riesco a muovermi più liberamente nella direzione desiderata, il senso si corrode nel desiderio di voler dare una motivazione a tutto questo soffocare, ed è così che conio rabbia e vendetta nei confronti di qualsiasi mostruosità autrice di tale scempio.

Mutaforme travestiti da profeti, farisei, eroi, giudici, demoni, guerrieri, re, vermi… degli uomini fatico a trovare traccia.

E partecipo a tutte le guerre della storia, a cavallo, a piedi, con balestre e proiettili, con spade e gas nervino, ma le bombe atomiche esplodono nella mia coscienza: il mio spirito un regno devastato dalla limitatezza della cupidigia e dall’insolenza dell’ego umano.

Annego nel Gange, mi strofino nel Nilo, ma dalla fossa delle Marianne all’Everest, la vergogna non sbiadisce di fronte all’orrore della storia, fatuato da noi, demoni dalle corna smussate.

Torno alla culla della civiltà, ma anche lì l’ombra della morte mi porta all’esilio di ogni speranza: tra il Tigri e l’Eufrate, persino in questi confini la mia anima è spezzata in due.

Vedo il germe di questa idea che sarà l’uomo nelle calde terre dell’Africa, vedo i continenti che si allontanano e si cercano, lì vedo uniti come un feto nella placenta della vita, e come il mare poi nasconde ogni traccia, così la mia desolazione abbraccia con la sua tragica patina ogni istinto di rivalsa o senso di conforto.

Ci sono vulcani, molecole, atomi, saette e caos, gli elementi padroni di ogni angolo, ma non vi è nemmeno uno di essi che rappresenti la tempra di questo dolore, immateriale realtà che percepisco fin troppo realmente.

Indietro, indietro, esplosioni, stelle, scie nel buio cosmico, buchi neri, miliardi di soli sparsi come briciole su un tavolo, ma comunque insufficienti ad illuminare lo squarcio di tenebra di tutto ciò che nulla è ed in cui ogni cosa è immersa: lo spazio.

Ora tutto viene assorbito in unico punto, il momento della grande esplosione, l’inizio di tutto, il momento dell’agognata vendetta, e finalmente vedrò il volto nefasto di colui che ci ha concepiti.

Ho la lama del mio dolore in mano, e giuro che chiunque vi sia gli trapasserò la gola.

L’esplosione, tutto è bianco, ogni cosa è illuminata.

Poi la luce si ritira.

Una figura compare, marionettista senza fili, stratega invincibile, onnipotente dio, dev’essere lui.

Corro, come se le fottute gambe dovessero morire lì con lui, come se tutta la mia esistenza culminasse in quel punto, come se non si possa più tornare indietro.

Ho visto il suo volto prima che quest’arma lo trapassasse: era il mio.

Creatori del nostro passato, ma schiavi del proprio destino, e in quell’istante mi fu chiaro: l’anatema di ogni cosa siamo sempre noi, maledetti dalle conseguenze di ogni gesto compiuto con la presunzione che non vi sia mai niente da perdere, e per questo già perdenti e persi di ogni redenzione.

E che sia impresso nei vostri cuori come un marchio irreversibile: voler vestire i panni di dio è nella natura degli uomini, ma voler divenire e restare uomo è ciò che ci rende dei.

Il nuovo Amor Cortese

Ho dalla mia la benedizione della luna.

Figlio del mio ego, ai tuoi occhi senza paura alcuna.

Ma ti assicuro, ho più di una lacuna, non mostrarle agli altri è un mio difetto per natura: tendo ad interloquire solo con me stesso, del resto all’incomunicabilità dell’anima i dottori e gli scienziati non han trovato una cura.

Ma non temere, ho voglia di parlare, non credere che la diffidenza mi possa contagiare: l’empatia è la mia amante, mia moglie, la scrittura nostra figlia, per farla nascere ci siamo scambiati la parte, infatti avevo le doglie, ero io incinta!

Lo so, sono un paradosso vivente: ho nostalgia del futuro, ricordo il presente in un modo differente da come è avvenuto realmente, e dopo questa sicuro hai la certezza che sia pazzo o demente.

Ma ho detto che non amo parlare di me, ed ora che siamo io e te, non costringermi a dire sciocchezze come: “sarai regina ed io il tuo re”, che certe stronzate non fanno per me.

Bei tatuaggi, hanno un significato?

Sembrano Caravaggi e la tua pelle un quadro.

No, no, non darmi dell’acculturato, una similitudine non fa di me un mago, che è vero che ho letto molti libri, ma c’è altro a cui sono più interessato.

So che i miei colleghi, quelli che parlano solo d’amore, sono più lusinghieri, ma non farmi storie, se vuoi ti dico quattro puttanate a voce, ti sfoggio l’arte d’essere mediocre.

So che mi ero ripromesso di non farlo poco fa, ma forse potremmo fare un’eccezione e vedere come va, chissà…

Senti questa: sei un angelo ed io una stella, ti amo quanto la nutella, tu sei l’unica cosa bella; innamorarsi è come ubriacarsi ed ora sono sbronzo; se io fossi un bicchiere, quando ci sei sono colmo fino all’orlo; non posso andare contro cuore, sei il mio punto felice, sei il mio sole ed io assieme a te risplendo come una fenice; fuori piove, dentro pure, senza di te è morte, tu sei più potente di mille cure.

Come me la son cavato?

Sono stato bravo vero?

Ma dato che ora mi dai del genio, perché non vieni qui a sfregare la lampada mentre esprimi un desiderio?

Che ti aspettavi?

Pensavi davvero che abbia detto tutte quelle cose patetiche solo per zelo?

Non ho la scrittura esile e non sono la copia di mille repliche.

Calma, calma, non ti agitare, ora ti spiego, del resto essere onesto fa parte del mio impiego; chi scrive banalità lo fa per due sole motivazioni: lucrare sui mediocri o guadagnare orgasmi illudendo cuori.

Quindi ora che è tutto chiarito, quanto ti fermi? Che fai?

Preparo un cappuccino o me la dai?

Il Capolinea Dell’Amore

Mi sembra di aver fatto un viaggio lunghissimo, di aver visto mille mondi, di aver attraversato deserti e città d’oro, aride allo stesso modo, e forse solo uno sciocco non lo capisce. È stato come un sogno, come un poema leggendario, con infinite peripezie, più nemici di quanti ne debba sconfiggere un esercito, e castelli, labirinti, posti fantastici, magici, quasi irreali al pensiero. Eravamo su un treno che correva su un binario in un’accelerazione infinita, una nave che naviga e sbarca nell’orizzonte sterminato dell’esistenza, come se avessimo viaggiato più veloci del sole e avessimo eluso le leggi della fisica.

Ma non si scappa dalla legge del cuore, perché è più facile vedere un atomo ad occhio nudo che levigare gli spigoli che abbiamo dentro.

Ti ricordi tutto quello che abbiamo avuto il coraggio di vivere? Perché a volte ci vuole coraggio per vivere, e ancora di più per voler vivere. Ci vuole coraggio a buttarsi sott’acqua e rimanerci per anni, ma ci vuole ancora più audacia a ritornare a galla, a guardare in faccia la realtà. Una volta lessi che la realtà è unica, cambia la nostra percezione di essa, ma si sbagliano sai, si sbagliano tutti, il reale ha tante sfumature quanto l’immaginario e dio mi è testimone quando dico che siamo troppo limitati per una vita che ha un potenziale infinito, infinito…

Cara mia, tu eri fantastica, oh sì, e avrei giurato di aver provato l’amore, quello vero. Ma quando tutto finisce rimangono solo due cose: il dubbio e il ricordo. È possibile che io abbia messo via così tante cose e ora non possa più farmene nulla di esse? È possibile sentirsi troppo, ma allo stesso tempo non abbastanza? Non sapersi sopportare, ma volersi… non sapersi tenere, ma essere incapaci di buttarsi via del tutto? Io l’ho fatto per molto tempo, e tu eri lì per conciliare il bipolarismo di un’anima che non si sopporta, ma che non sa fare a meno di se stessa.

Cara mia... Vi sono tanti abissi in cui l’uomo si può perdere, ed uno di questi è il volto sbiadito delle cose che sarebbero potute essere, ma che invece non sono state.

So che da qualche parte abiti ancora dentro di me, perché a volte, alcune notti, sento che fai scricchiolare coi tuoi passi cauti il pavimento della mia anima, e l’eco nei miei sogni è un boato. Per quel che vale, per me, siamo stati due eroi, due naufraghi, abbiamo lottato per sopravvivere alle zanne e alle tempeste di una vita che non sappiamo come amare e che non sa amarci. Due guerrieri, due pesci buttati e costretti a sopravvivere nel deserto, due mazzi di fiori lasciati ad appassire sul cemento, disperati, alla ricerca di fori dove piantare le loro radici stanche. Per quel che vale, siamo stati due sopravvissuti, ma non sempre basta sopravvivere, anzi quasi mai, non siamo fatti per restare semplicemente vivi, abbiamo bisogno di esistere oltre il nostro respiro, e questo nostro non bastarci mai è una valanga che ci umilia appena ci rendiamo conto della nostra stupidità, travolgendoci. Penso che sia nella natura di chi non ha mai avuto niente attaccarsi a ciò che tocca fino a scorticarsi l’anima, forse per questo in un certo senso non so e non voglio sapere come farti scivolare al di fuori della mia memoria, insieme ai battiti che ci siamo mischiati.

Chissà perché se questo è il capolinea, io fatico a scendere…” non ripeterò mai più queste parole, una volta è già stato fin troppo devastante, lo giuro su qualsiasi dio. Quella sera devo essere morto almeno trecento volte.

Credo che il presente abbia il potere di storpiare le emozioni passate, facendotele ricordare in una maniera del tutto nuova, la nostalgia e la malinconia hanno un loro modo di plasmare i nostri ricordi, ma posso assicurarti che non vi sarà mai niente che possa sostituire la tua figura, e la prova di ciò è che mi ritrovo a girovagare alla ricerca di un senso, quando il senso eri tu.

Sono sempre stato bravo a comprendere le emozioni umane, a descriverle e a farle respirare sul foglio, a capire gli altri, a donargli le risposte che cercavano, ma con me non mi riesce, è la mia maledizione, credo di essere destinato a non sapere mai nulla di ciò che sono. L’essere umano identifica se stesso nell’altro, e per questo cerca un contatto, io però non ho mai avuto niente da spartire con loro, ma questo tu lo sai meglio di me…

Mi sembra di aver fatto un viaggio lunghissimo, e se è vero che tu non eri semplicemente con me, perché tu eri il viaggio stesso, non la meta, né la compagnia, è anche vero che mi sono conosciuto meglio attraverso ogni passo fatto insieme, e non è poco, non lo è mai. Io avrò sempre il dubbio di non essere stato abbastanza, e questo credo che sia il prezzo da pagare, la condanna da scontare, per chi non sa né essere uomo, né demone, neppure angelo, per chi con suo grande dispiacere non riesce a definirsi. Tu avrai sempre la certezza di non poter incontrare qualcosa di simile a me, qualcun altro come me, e questo è il calvario di chi sa riconoscere l’unicità, ma non sa proteggerla da se stessa e dal mondo.

Il senso di abbandono è un compagno fedele, un cane che non sa mordere abbastanza forte per strapparti la carne, ma abbastanza da farti sanguinare. Non ci libereremo mai di lui io e te, mai, in questo continueremo ad essere legati da quel filo indissolubile, da quella croce insostenibile e raccapricciante di essere stati qualcosa, e di non esserlo mai più, mai più.

Ti ho lasciata andare molto tempo fa, sebbene vi siano momenti in cui pure io ne dubito, mentre il lamento della nostalgia mi accarezza l’aorta dei momenti passati, ma qualcosa di te mi è rimasto incastrato dentro, e questo non posso negarlo. Ci ho messo tempo e anima per capirlo, e forse non lo comprenderò mai del tutto, ma quel qualcosa eravamo noi.

Mi mancherai, ti mancherò, ci mancheremo, e amore mio, ci saranno momenti in cui crederemo di non potercela fare e supplicheremo il volto apatico della morte di sfiorarci il viso, ed altri in cui ci sembrerà di essere già morti in quell’attimo, prima ancora che la mano gelida di una bara chiusa venga a sigillare il numero dei secondi in cui siamo esistiti, accadrà per certo, ancora, e ancora, e ancora; sarà inevitabile, come lo scorrere delle stagioni, come l’inseguirsi del giorno e della notte, come la mia brillantezza dopo il quinto bicchiere di vino e le tue lacrime nelle sere in cui non sai amarti, come il nostro passaggio e la nostra dipartita. Tutto ciò ci tormenterà, fino alla pazzia, fino allo sfinimento, al panico, allo stridere dell’angoscia, fino a quando da estranei ci rincontreremo e non sapremo più distinguere ciò che siamo diventati da ciò che avremmo voluto essere, insieme, annebbiati dal nostro fallimentare essere umani, dal nostro amarci in modo imperfetto, da essere macchine rotte che vogliono ripararsi con l’amore.

Non cercavo l’amore, mi saresti bastata tu, perché eri qualcosa in più di lui, perché mi hai fatto sentire amato, e questo tuo merito sarà per sempre una cicatrice su di me che per quanto anestetizzi, non riuscirò mai a disinfettare dal tuo ricordo.

Ti ho reso eterna, e questa è forse l’unica cosa che sia davvero riuscito a fare per te in una vita mortale, e non perché si muore, ma perché uccide.

Eterna, eterni, per sempre.

-Phantom

Un Sorriso Fatto Da Cristo Ad Un Bambino

La scomparsa di George Michael mi ha turbato, e non poco. La sera del 24 dicembre ero in macchina e sentendo una sua canzone chiesi a mio padre se sapesse che fine avesse fatto, se cantasse ancora, perché da un po’ non lo si vedeva più. Ironia della sorte, 24 ore dopo apprendevo la notizia della sua morte. Ironia della sorte… ma come diceva qualcuno, non c’è ironia nella morte.

Chi era per me George? Bella domanda… Quando ero bambino, le sue canzoni erano una persecuzione, mio padre le ascoltava in loop, se c’era da fare un viaggio in macchina, potevi star certo che sarebbe partita una sua canzone. Se lo stereo a casa era accesso, potevi star certo che ad un certo punto la sua voce sarebbe schizzata fuori dalle casse. È stata per molti versi una presenza costante la sua, le sue canzoni restano un buon filo conduttore di quella che è la mia età più spensierata. Poi vuoto, fino a quando una volta cresciuto lo ritorno a sentire, e non solo ad ascoltarlo, sentirlo dentro, complice la conoscenza dell’inglese e la maturità acquisita con gli anni, e lo apprezzo, come non mai.

Chi era George per me… Beh, un simbolo, un impasto di emozioni, un uomo capace di far emozionare mio padre, cosa, vi assicuro, di ardua impresa, sebbene non capisse mai una parola, a lui in fondo bastava la musica. George era un uomo in grado di essere se stesso in un mondo che vuole le sue maschere, ed in grado di fartela calare anche a te. Un uomo che sapeva che esistono solo due cose eterne: la sofferenza e l’amore, ma che la seconda batte sempre la prima, e forse allora di eterna c’è ne è soltanto una. Un uomo in grado di rendere la sua vita, nonostante tutto, e lo ribadisco, nonostante tutto, un capolavoro, incantando milioni e milioni di persone, creando uno spettacolo di alti e bassi, quello della sua vita, ma una colonna sonora di quest’ultima composta solo di grandezza e di immensità, come del resto la sua stessa vita, sebbene in pochi lo capiscano.

È stato se stesso, ed in pochi possono vantare un privilegio del genere. Ha fatto provare qualcosa ad altri, ed in pochi possono portare l’onore e l’onere di un tale compito con una tale maestria. George era tutto questo per me, ma c’è un “ma”, c’è sempre un “ma”. Lui non era semplicemente tutto questo, il mondo ha sempre troppa fretta di usare l’imperfetto, lui lo è ancora, tutt’ora, e per sempre. Vive nella memoria, nella mia, insieme al Blockbuster, i cartoni, Gino il pollo, Leone il cane fifone, il freddo fuori aspettando l’apertura della scuola, l’affetto di mia madre, i pranzi dagli zii, la bicicletta che usavo da bambino, l’apprensione di mio padre, il latte coi biscotti a forma di animale, i floppy disc, windows 95, le partite alla play, le giornate al parco, i tiri al pallone, le canzoni dei Tears Of Fears, Lea, le figurine, i pensierini che mi portava mia madre da Milano, e molto, molto altro.

Tutto scomparso, o destinato a farlo, ma non nella mia memoria, e questa, questa è eternità, l’immortalità non è nient’altro che questo.

Arrivederci George.

Ps: la canzone che suonava quella sera in macchina era “Jesus to a child“, e le tue parole erano proprio così, come un sorriso fatto da Cristo ad un bambino.

Arrivederci, arrivederci…

Diventiamo umani.

-Phantom

(27/12/16)

Il Demone Della Paura

Volevo fare un paio di considerazioni su quello che sta accadendo. C’è molto sdegno e incredulità per la vittoria di Trump e sinceramente la cosa che invece mi stupisce è la vostra ottusità di fronte agli eventi.

Ciò che è successo è ovvio, quasi scontato, e sinceramente non capisco come non abbiate compreso la direzione verso cui marcia il mondo. Già con la Brexit era arrivato il primo forte e chiaro segnale di questa nuova direzione, e queste elezioni non hanno fatto altro che ricalcare la scelta di ripercorrere una strada pericolosa che è stata già intrapresa e che, ahimè, temo sia impossibile da arrestare, se non con una presa di coscienza significativa, prima del disastro.

Si sta riavviando un processo di nazionalismo, ovvero quell’ideologia perversa secondo cui il patriottismo viene spinto all’estremo, si alzano le barriere, le differenze vengono accentuate fino ad arrivare all’impossibilità di un dialogo, in una sola parola: guerra. È già accaduto, e la storia tende a ripetersi perché la memoria umana è effimera, difettosa, incapace di prevedere conseguenze che non sono già state vissute: ormai sono in pochi quelli che possono testimoniare ciò che è già stato, come la seconda guerra mondiale.

La paura ha steso il suo velo, la sua trappola, le gabbie hanno chiuso i lucchetti e il meccanismo ha ingranato il suo macabro meccanismo.

Per esemplificare: quando le persone hanno paura, si chiudono in casa, barricano porte e finestre, non fanno entrare od uscire nessuno; ecco, ora allargate questo terrore ad un intero popolo ed immaginate questa casa come un’intera nazione, questo è in parole semplici ciò che sta accadendo. La paura ha preso il sopravvento e ha vinto, fucilando la speranza, e quando la paura siede sul trono, non vi è molto da lasciare all’immaginazione.

In un mio libro scrivevo: “Quando la paura prende il sopravvento, il male è solo un’ovvia conseguenza di una tragedia già annunciata, ecco dove sta la sua banalità.” Ecco, la banalità sta tutta lì, la conseguenza della paura è il male, sempre, sempre, sempre, e non lo dico io, è la storia che impartisce lezioni, è già successo, riaccadrà, non vi è scampo, perché le masse non pensano, si trascinano, e a meno di un overdose di coraggio, l’abisso è ad un passo.

Questo è quello che sta accadendo, causa dell’impoverimento, dell’incapacità decisionale, della mancanza di certezze, delle false credenze che convincono di non aver controllo sulla propria vita, sulla propria carriera, sul proprio futuro. Si identifica un nemico, un capro espiatorio, si danno forme e confini definiti al male, quando in realtà non ne ha, perché il male è un’idea che si può insediare ovunque, non è un volto, non è un’etnia, non è un’azione, non è una scelta, è solo una conseguenza, una mancanza di lucidità, una carenza d’amore, nient’altro, ed è per questo che non si può identificare, non si può attribuire a qualcosa, è ovunque, va evitato semplicemente, percependo ciò che amore, fratellanza, vita non è.

Concludo confidandovi che sinceramente, indipendentemente da chi avesse vinto queste elezioni, ho sempre pensato che non ci sarebbe stato comunque nessun trionfatore, solo sconfitti, perché un vincente è colui che si mostra umano, non vincitore, e credo che non vi sia bisogno di argomentare il motivo per cui fra i due favoriti, non vi era modo di evitare la nascita di una tragedia, a prescindere.

Ora non siamo più sulla soglia del baratro, ci siamo già calati al suo interno, e l’assurdità è che l’abbiamo fatto ad occhi chiusi volontariamente, e per la maggior parte degli esseri umani quegli occhi sono ancora sigillati: il buio li acceca. Il bisogno di sicurezza a discapito del prossimo per fronteggiare la paura ha già pervaso ogni cosa, e in questo caso si possono fare solo due cose: continuare a farsi possedere dal demone della paura fino a morire, o acquisire la consapevolezza tipica di chi in mezzo all’orrore, all’interno di una gabbia fatta di ansie, dubbi e timori, invece di cercare di tenere chiusa l’uscita, prova in ogni modo a trovare la chiave del coraggio chiamata Umanità.

Diventiamo Umani.

-Phantom

(9/11/16)

La macchina digitale dell’odio

Dimmi se questo è un uomo, che muore per un click o per un flop. Dignità umana, che viene stuprata tra il silenzio di un paese o tra le musiche di una discoteca. Travolti come siamo dalle inconvenienze della nostra stupidità, sommersi dall’inutilità delle nostre indifferenze, schiacciati come siamo dalla mediocrità del nostro menefreghismo, abbiamo perso di vista il senso di ciò che ci rende umani.

Branchi di lupi con occhi da cerbiatto che sbranano i loro fratelli, le loro sorelle, i loro “amici”. Ho visto più sangue versato in questi finti rapporti umani che nella lotta per la sopravvivenza. Meschini cani famelici dietro ad uno schermo che digitano tasti come lame di un coltello conficcate nella carne dei più deboli, e di fatto c’è chi per una parola di troppo non sopporta più, e muore. Paesi ammutoliti dai pregiudizi, dall’ignoranza e dalla disumanità che marcia nei loro cuori già marci. Non una parola, non una verso chi da solo guarda il demonio ogni giorno nell’iride di queste bestie che di umano hanno il volto, ma né il cuore, né l’anima.

Una donna suicida, una ragazza stuprata, e una bambina ripetutamente abusata. Ho fatto un incubo, c’era tutto che andava a fuoco, poi ho aperto gli occhi, ed era realmente così.

E che rimanga impresso nei vostri cuori, inciso, come un monito indelebile: dove l’uomo lascia spazio a ciò che non è empatico e propriamente umano, lì, in quel tragico istante, si è morti, si uccide e si distrugge ogni cosa intorno a lui; in poche e semplici parole: l’uomo diviene il nulla.

Diventiamo Umani.

-Phantom

PS: Articolo scritto dopo i fatti di cronaca summenzionati (14 Settembre 2016).