Il Capolinea Dell’Amore

Mi sembra di aver fatto un viaggio lunghissimo, di aver visto mille mondi, di aver attraversato deserti e città d’oro, aride allo stesso modo, e forse solo uno sciocco non lo capisce. È stato come un sogno, come un poema leggendario, con infinite peripezie, più nemici di quanti ne debba sconfiggere un esercito, e castelli, labirinti, posti fantastici, magici, quasi irreali al pensiero. Eravamo su un treno che correva su un binario in un’accelerazione infinita, una nave che naviga e sbarca nell’orizzonte sterminato dell’esistenza, come se avessimo viaggiato più veloci del sole e avessimo eluso le leggi della fisica.

Ma non si scappa dalla legge del cuore, perché è più facile vedere un atomo ad occhio nudo che levigare gli spigoli che abbiamo dentro.

Ti ricordi tutto quello che abbiamo avuto il coraggio di vivere? Perché a volte ci vuole coraggio per vivere, e ancora di più per voler vivere. Ci vuole coraggio a buttarsi sott’acqua e rimanerci per anni, ma ci vuole ancora più audacia a ritornare a galla, a guardare in faccia la realtà. Una volta lessi che la realtà è unica, cambia la nostra percezione di essa, ma si sbagliano sai, si sbagliano tutti, il reale ha tante sfumature quanto l’immaginario e dio mi è testimone quando dico che siamo troppo limitati per una vita che ha un potenziale infinito, infinito…

Cara mia, tu eri fantastica, oh sì, e avrei giurato di aver provato l’amore, quello vero. Ma quando tutto finisce rimangono solo due cose: il dubbio e il ricordo. È possibile che io abbia messo via così tante cose e ora non possa più farmene nulla di esse? È possibile sentirsi troppo, ma allo stesso tempo non abbastanza? Non sapersi sopportare, ma volersi… non sapersi tenere, ma essere incapaci di buttarsi via del tutto? Io l’ho fatto per molto tempo, e tu eri lì per conciliare il bipolarismo di un’anima che non si sopporta, ma che non sa fare a meno di se stessa.

Cara mia... Vi sono tanti abissi in cui l’uomo si può perdere, ed uno di questi è il volto sbiadito delle cose che sarebbero potute essere, ma che invece non sono state.

So che da qualche parte abiti ancora dentro di me, perché a volte, alcune notti, sento che fai scricchiolare coi tuoi passi cauti il pavimento della mia anima, e l’eco nei miei sogni è un boato. Per quel che vale, per me, siamo stati due eroi, due naufraghi, abbiamo lottato per sopravvivere alle zanne e alle tempeste di una vita che non sappiamo come amare e che non sa amarci. Due guerrieri, due pesci buttati e costretti a sopravvivere nel deserto, due mazzi di fiori lasciati ad appassire sul cemento, disperati, alla ricerca di fori dove piantare le loro radici stanche. Per quel che vale, siamo stati due sopravvissuti, ma non sempre basta sopravvivere, anzi quasi mai, non siamo fatti per restare semplicemente vivi, abbiamo bisogno di esistere oltre il nostro respiro, e questo nostro non bastarci mai è una valanga che ci umilia appena ci rendiamo conto della nostra stupidità, travolgendoci. Penso che sia nella natura di chi non ha mai avuto niente attaccarsi a ciò che tocca fino a scorticarsi l’anima, forse per questo in un certo senso non so e non voglio sapere come farti scivolare al di fuori della mia memoria, insieme ai battiti che ci siamo mischiati.

Chissà perché se questo è il capolinea, io fatico a scendere…” non ripeterò mai più queste parole, una volta è già stato fin troppo devastante, lo giuro su qualsiasi dio. Quella sera devo essere morto almeno trecento volte.

Credo che il presente abbia il potere di storpiare le emozioni passate, facendotele ricordare in una maniera del tutto nuova, la nostalgia e la malinconia hanno un loro modo di plasmare i nostri ricordi, ma posso assicurarti che non vi sarà mai niente che possa sostituire la tua figura, e la prova di ciò è che mi ritrovo a girovagare alla ricerca di un senso, quando il senso eri tu.

Sono sempre stato bravo a comprendere le emozioni umane, a descriverle e a farle respirare sul foglio, a capire gli altri, a donargli le risposte che cercavano, ma con me non mi riesce, è la mia maledizione, credo di essere destinato a non sapere mai nulla di ciò che sono. L’essere umano identifica se stesso nell’altro, e per questo cerca un contatto, io però non ho mai avuto niente da spartire con loro, ma questo tu lo sai meglio di me…

Mi sembra di aver fatto un viaggio lunghissimo, e se è vero che tu non eri semplicemente con me, perché tu eri il viaggio stesso, non la meta, né la compagnia, è anche vero che mi sono conosciuto meglio attraverso ogni passo fatto insieme, e non è poco, non lo è mai. Io avrò sempre il dubbio di non essere stato abbastanza, e questo credo che sia il prezzo da pagare, la condanna da scontare, per chi non sa né essere uomo, né demone, neppure angelo, per chi con suo grande dispiacere non riesce a definirsi. Tu avrai sempre la certezza di non poter incontrare qualcosa di simile a me, qualcun altro come me, e questo è il calvario di chi sa riconoscere l’unicità, ma non sa proteggerla da se stessa e dal mondo.

Il senso di abbandono è un compagno fedele, un cane che non sa mordere abbastanza forte per strapparti la carne, ma abbastanza da farti sanguinare. Non ci libereremo mai di lui io e te, mai, in questo continueremo ad essere legati da quel filo indissolubile, da quella croce insostenibile e raccapricciante di essere stati qualcosa, e di non esserlo mai più, mai più.

Ti ho lasciata andare molto tempo fa, sebbene vi siano momenti in cui pure io ne dubito, mentre il lamento della nostalgia mi accarezza l’aorta dei momenti passati, ma qualcosa di te mi è rimasto incastrato dentro, e questo non posso negarlo. Ci ho messo tempo e anima per capirlo, e forse non lo comprenderò mai del tutto, ma quel qualcosa eravamo noi.

Mi mancherai, ti mancherò, ci mancheremo, e amore mio, ci saranno momenti in cui crederemo di non potercela fare e supplicheremo il volto apatico della morte di sfiorarci il viso, ed altri in cui ci sembrerà di essere già morti in quell’attimo, prima ancora che la mano gelida di una bara chiusa venga a sigillare il numero dei secondi in cui siamo esistiti, accadrà per certo, ancora, e ancora, e ancora; sarà inevitabile, come lo scorrere delle stagioni, come l’inseguirsi del giorno e della notte, come la mia brillantezza dopo il quinto bicchiere di vino e le tue lacrime nelle sere in cui non sai amarti, come il nostro passaggio e la nostra dipartita. Tutto ciò ci tormenterà, fino alla pazzia, fino allo sfinimento, al panico, allo stridere dell’angoscia, fino a quando da estranei ci rincontreremo e non sapremo più distinguere ciò che siamo diventati da ciò che avremmo voluto essere, insieme, annebbiati dal nostro fallimentare essere umani, dal nostro amarci in modo imperfetto, da essere macchine rotte che vogliono ripararsi con l’amore.

Non cercavo l’amore, mi saresti bastata tu, perché eri qualcosa in più di lui, perché mi hai fatto sentire amato, e questo tuo merito sarà per sempre una cicatrice su di me che per quanto anestetizzi, non riuscirò mai a disinfettare dal tuo ricordo.

Ti ho reso eterna, e questa è forse l’unica cosa che sia davvero riuscito a fare per te in una vita mortale, e non perché si muore, ma perché uccide.

Eterna, eterni, per sempre.

-Phantom

Autore: phantomscrittore

Scrittore ed Artista.

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