Un Sorriso Fatto Da Cristo Ad Un Bambino

La scomparsa di George Michael mi ha turbato, e non poco. La sera del 24 dicembre ero in macchina e sentendo una sua canzone chiesi a mio padre se sapesse che fine avesse fatto, se cantasse ancora, perché da un po’ non lo si vedeva più. Ironia della sorte, 24 ore dopo apprendevo la notizia della sua morte. Ironia della sorte… ma come diceva qualcuno, non c’è ironia nella morte.

Chi era per me George? Bella domanda… Quando ero bambino, le sue canzoni erano una persecuzione, mio padre le ascoltava in loop, se c’era da fare un viaggio in macchina, potevi star certo che sarebbe partita una sua canzone. Se lo stereo a casa era accesso, potevi star certo che ad un certo punto la sua voce sarebbe schizzata fuori dalle casse. È stata per molti versi una presenza costante la sua, le sue canzoni restano un buon filo conduttore di quella che è la mia età più spensierata. Poi vuoto, fino a quando una volta cresciuto lo ritorno a sentire, e non solo ad ascoltarlo, sentirlo dentro, complice la conoscenza dell’inglese e la maturità acquisita con gli anni, e lo apprezzo, come non mai.

Chi era George per me… Beh, un simbolo, un impasto di emozioni, un uomo capace di far emozionare mio padre, cosa, vi assicuro, di ardua impresa, sebbene non capisse mai una parola, a lui in fondo bastava la musica. George era un uomo in grado di essere se stesso in un mondo che vuole le sue maschere, ed in grado di fartela calare anche a te. Un uomo che sapeva che esistono solo due cose eterne: la sofferenza e l’amore, ma che la seconda batte sempre la prima, e forse allora di eterna c’è ne è soltanto una. Un uomo in grado di rendere la sua vita, nonostante tutto, e lo ribadisco, nonostante tutto, un capolavoro, incantando milioni e milioni di persone, creando uno spettacolo di alti e bassi, quello della sua vita, ma una colonna sonora di quest’ultima composta solo di grandezza e di immensità, come del resto la sua stessa vita, sebbene in pochi lo capiscano.

È stato se stesso, ed in pochi possono vantare un privilegio del genere. Ha fatto provare qualcosa ad altri, ed in pochi possono portare l’onore e l’onere di un tale compito con una tale maestria. George era tutto questo per me, ma c’è un “ma”, c’è sempre un “ma”. Lui non era semplicemente tutto questo, il mondo ha sempre troppa fretta di usare l’imperfetto, lui lo è ancora, tutt’ora, e per sempre. Vive nella memoria, nella mia, insieme al Blockbuster, i cartoni, Gino il pollo, Leone il cane fifone, il freddo fuori aspettando l’apertura della scuola, l’affetto di mia madre, i pranzi dagli zii, la bicicletta che usavo da bambino, l’apprensione di mio padre, il latte coi biscotti a forma di animale, i floppy disc, windows 95, le partite alla play, le giornate al parco, i tiri al pallone, le canzoni dei Tears Of Fears, Lea, le figurine, i pensierini che mi portava mia madre da Milano, e molto, molto altro.

Tutto scomparso, o destinato a farlo, ma non nella mia memoria, e questa, questa è eternità, l’immortalità non è nient’altro che questo.

Arrivederci George.

Ps: la canzone che suonava quella sera in macchina era “Jesus to a child“, e le tue parole erano proprio così, come un sorriso fatto da Cristo ad un bambino.

Arrivederci, arrivederci…

Diventiamo umani.

-Phantom

(27/12/16)

Autore: phantomscrittore

Scrittore ed Artista.

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